Per il luterano Rudolf Otto nel “mysterium tremendum et fascinans”,
il mistero che attrae e avvince la coscienza nello sbigottimento,
risiedeva l’esperienza del Sacro vissuto come l’Altro, l’alterità
suprema, ineffabile, incomprensibile ed inquietante nel suo essere al
contempo irresistibile e portentosa. Al netto delle sue implicazioni
teologiche e mistiche, a questa definizione del Sacro come Mistero non
s’era discostato pochi anni prima Giorgio De Chirico con l’iscrizione
apposta sulla finta cornice dipinta sul bordo dell’autoritratto del 1911
“Et quid amabo nisi quod aenigma est?”. Con lo sguardo liricamente
accigliato rivolto verso un punto esterno al quadro stesso, ad
imitazione dell’Eraclito affrescato da Raffaello nella “Scuola di Atene”
e dell’angelo pensoso inserito da Durer nell’incisione della
“Melancholia I”, il padre della metafisica si faceva testimone in prima
persona, per mezzo dell’atto pittorico e dell’atto drammatico della
messa in posa, del nucleo sorgivo dell’agire creativo. Per il pittore
delle piazze silenziose e delle muse inquietanti, delle lunghe ombre
meridiane e delle torri incombenti, delle statue senza volto e dei treni
spettrali diretti verso stazioni deserte, è l’Enigma, il Mistero, tutto
quel che essendo insondabile e inesprimibile conserva la sua immanente e
onesta irrealtà, a scatenare le dinamiche, sia emotive che
intellettive, alla radice del fenomeno estetico e (specie nel mio caso
personale) della “visione medianica”.
Sin dall’infanzia fui testimone a mia volta di questa esperienza
“numinosa”, ossia soprannaturale in quanto collaterale ed estranea a ciò
che è convenzione intendere come “umano e reale”. Sfogliare a quattro
anni i volumi dell’enciclopedia, catturato e turbato dalle riproduzioni
di cartine geografiche, istogrammi, disegni e dipinti dei quali ignoravo
autori, titoli, tecnica e contesto storico, alcuni indistinguibili
sulla carta da foto vere e proprie come i ritratti di Velazquez e il
“Cristo morto” di Hans Holbein, rappresentò il mio primo incontro con
quella sensazione di minacciosa prossimità ad una dimensione
meravigliosa con cui la mia mente di bambino si trovava a confrontarsi
senza gli strumenti della razionalità “alfabetica”. Diretta reazione
alla percezione di alterità suscitata da quanto restava confinato in un
limbo della conoscenza circondato dallo stupore e dall’angoscia, la mia
foga creativa si scatenava allora per rivestire di una logica e di una
identità narrativa stati mentali e ossessioni che mi avrebbero
altrimenti tormentato alla stregua di entità demoniache. Molte delle mie
opere nacquero e nascono tuttora come trappole congegnate per catturare
e sublimare la sensuale oppressione dell’inconoscibile o dell’ancora
sconosciuto. Con gli anni il “mysterium” si è annidato nei volti di
donne sfuggenti delle quali non ho mai saputo il nome e la storia; in
edifici abbandonati lambiti dalla luce del crepuscolo; in immagini
ambigue sognate, allucinate o intraviste nel dormiveglia e in
lontananza; in gesti, circostanze e concatenazioni di eventi
inspiegabili.
Oggi il “mysterium” è una qualità a rischio.
Tra i suoi acerrimi nemici vi è l’abuso sempre più onnipervasivo dei
nuovi media. Gli ultimi vent’anni ci hanno visto passare dal condividere
brevi testi, immagini e frammenti di video a 56k sui monitor di casa, a
intrattenere interminabili videodirette in ultradefinizione su piccoli
schermi a portata di palmo da un angolo all’altro del mondo. Tutti sanno
e pretendono di poter sapere tutto su tutto e tutti, di poter azzerare
la latenza delle notizie e delle risposte con la comunicazione in tempo
reale, di spiegare qualsiasi fenomeno sociale e naturale, di stringere
migliaia di amicizie per illudersi di non vivere tra estranei, di poter
insomma dominare e modellare il mondo perché non sopportano di saperlo
alieno e incomunicabile.
Il “mysterium” come fonte vivificante dello spirito e alimento della
curiosità e dello stupore creativo si nasconde invece nelle pieghe della
disconnessione, nella dote di sapersi liberi dall’ansia della perenne
condivisione che spesso bandisce le penombre del non detto in cui
prospera il muschio profumato dell’ignoto, nell’ascoltare il silenzio
rivelatore della porzione di mondo che non potrà mai essere rinchiuso in
uno smartphone.
Salviamo l’ultima fonte ancora pura e incontaminata dell’Arte.
Connettiamoci quando possibile alla corroborante estraneità del Sacro.
Banda ultralarga e wifi non sono ancora indispensabili per godere dell’alta risoluzione sullo schermo della vera immaginazione.