Di rabbia ridente e di risa rabbiose: Joker a Venezia
E alla fine anche il tanto vituperato quanto remunerativo cinefumetto è
riuscito a domare il grande felide della laguna. Armato della sua
disperata sirena ridanciana, il Joker di Phoenix pietrifica e ammalia il
pubblico di Venezia paludando le sue radici fumettistiche con gli
stilemi di uno psichotriller scorsesiano. Motivo per il quale non
andrebbe definito un cinecomic "strictu sensu", ma un "character study"
che seduce la critica e convince la giuria a premiarlo in larga parte
in virtù del virtuosismo attoriale col quale Phoenix (svincolandosi dai
limiti del medium cinematografico) lo eleva a saggio umanistico. E
questo nonostante l'ultimo Joker filologicamente attendibile e fedele al
personaggio creato da Kane, Finger e Robinson resti quello di Ledger:
privato della sua nemesi speculare (Batman) e calato in una cinica
quotidianità alla "Taxi Driver" la vicenda umana del Joker appare
infatti svuotata della carica istrionicamente irrazionale e nichilista
che lo ha reso il più enigmatico e complesso tra tutti i villain
fumettistici. Al netto del meritato premio alla performance di Phoenix,
vanno quindi comprese le ragioni di chi biasima il fatto che un film su
un comico fallito convertitosi al crimine per colpa di una società
anempatica, venga fatto passare per un'opera sulle origini del nemico
del cavaliere oscuro (che nemmeno il capolavoro di Alan Moore "The
Killing joke" a cui il film si ispira aveva in realtà chiarito in
maniera definitiva). Ciononostante, essendo una sorta di moderna
maschera teatrale, quella di Joker è per sua natura predestinata a
questa come ad altre molteplici riletture
artistico-antropologiche.Perchè forse mai come oggi il suo sorriso
deforme fa da specchio al rictus rancoroso di tempi grondanti cieca e
tragicomica rabbia.
AFAN Alessandro Fantini (09/09/2019
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