Monday, November 13, 2023

QUEL MYSTERIUM IN VIA D'ESTINZIONE

 

Per il luterano Rudolf Otto nel “mysterium tremendum et fascinans”, il mistero che attrae e avvince la coscienza nello sbigottimento, risiedeva l’esperienza del Sacro vissuto come l’Altro, l’alterità suprema, ineffabile, incomprensibile ed inquietante nel suo essere al contempo irresistibile e portentosa. Al netto delle sue implicazioni teologiche e mistiche, a questa definizione del Sacro come Mistero non s’era discostato pochi anni prima Giorgio De Chirico con l’iscrizione apposta sulla finta cornice dipinta sul bordo dell’autoritratto del 1911 “Et quid amabo nisi quod aenigma est?”. Con lo sguardo liricamente accigliato rivolto verso un punto esterno al quadro stesso, ad imitazione dell’Eraclito affrescato da Raffaello nella “Scuola di Atene” e dell’angelo pensoso inserito da Durer nell’incisione della “Melancholia I”, il padre della metafisica si faceva testimone in prima persona, per mezzo dell’atto pittorico e dell’atto drammatico della messa in posa, del nucleo sorgivo dell’agire creativo. Per il pittore delle piazze silenziose e delle muse inquietanti, delle lunghe ombre meridiane e delle torri incombenti, delle statue senza volto e dei treni spettrali diretti verso stazioni deserte, è l’Enigma, il Mistero, tutto quel che essendo insondabile e inesprimibile conserva la sua immanente e onesta irrealtà, a scatenare le dinamiche, sia emotive che intellettive, alla radice del fenomeno estetico e (specie nel mio caso personale) della “visione medianica”.

 May be art of 1 person, mirror and curtains

Sin dall’infanzia fui testimone a mia volta di questa esperienza “numinosa”, ossia soprannaturale in quanto collaterale ed estranea a ciò che è convenzione intendere come “umano e reale”. Sfogliare a quattro anni i volumi dell’enciclopedia, catturato e turbato dalle riproduzioni di cartine geografiche, istogrammi, disegni e dipinti dei quali ignoravo autori, titoli, tecnica e contesto storico, alcuni indistinguibili sulla carta da foto vere e proprie come i ritratti di Velazquez e il “Cristo morto” di Hans Holbein, rappresentò il mio primo incontro con quella sensazione di minacciosa prossimità ad una dimensione meravigliosa con cui la mia mente di bambino si trovava a confrontarsi senza gli strumenti della razionalità “alfabetica”. Diretta reazione alla percezione di alterità suscitata da quanto restava confinato in un limbo della conoscenza circondato dallo stupore e dall’angoscia, la mia foga creativa si scatenava allora per rivestire di una logica e di una identità narrativa stati mentali e ossessioni che mi avrebbero altrimenti tormentato alla stregua di entità demoniache. Molte delle mie opere nacquero e nascono tuttora come trappole congegnate per catturare e sublimare la sensuale oppressione dell’inconoscibile o dell’ancora sconosciuto. Con gli anni il “mysterium” si è annidato nei volti di donne sfuggenti delle quali non ho mai saputo il nome e la storia; in edifici abbandonati lambiti dalla luce del crepuscolo; in immagini ambigue sognate, allucinate o intraviste nel dormiveglia e in lontananza; in gesti, circostanze e concatenazioni di eventi inspiegabili.

Oggi il “mysterium” è una qualità a rischio.

Tra i suoi acerrimi nemici vi è l’abuso sempre più onnipervasivo dei nuovi media. Gli ultimi vent’anni ci hanno visto passare dal condividere brevi testi, immagini e frammenti di video a 56k sui monitor di casa, a intrattenere interminabili videodirette in ultradefinizione su piccoli schermi a portata di palmo da un angolo all’altro del mondo. Tutti sanno e pretendono di poter sapere tutto su tutto e tutti, di poter azzerare la latenza delle notizie e delle risposte con la comunicazione in tempo reale, di spiegare qualsiasi fenomeno sociale e naturale, di stringere migliaia di amicizie per illudersi di non vivere tra estranei, di poter insomma dominare e modellare il mondo perché non sopportano di saperlo alieno e incomunicabile.

Il “mysterium” come fonte vivificante dello spirito e alimento della curiosità e dello stupore creativo si nasconde invece nelle pieghe della disconnessione, nella dote di sapersi liberi dall’ansia della perenne condivisione che spesso bandisce le penombre del non detto in cui prospera il muschio profumato dell’ignoto, nell’ascoltare il silenzio rivelatore della porzione di mondo che non potrà mai essere rinchiuso in uno smartphone.

Salviamo l’ultima fonte ancora pura e incontaminata dell’Arte.

Connettiamoci quando possibile alla corroborante estraneità del Sacro.

Banda ultralarga e wifi non sono ancora indispensabili per godere dell’alta risoluzione sullo schermo della vera immaginazione.