Tuesday, May 24, 2016

Il compagno di banco



Pomeriggio universitario d’inizio millennio. Sono seduto ad uno dei tavoli disposti lungo il corridoio del dipartimento di storia dell’arte. Senza accorgermene, da oltre mezz’ora sono sprofondato in una “vaudeville mentale” che si va imprimendo sul foglio A4 sul quale, la mente ancora rivolta alla lezione del mattino, avevo pensato di annotare alcune riflessioni sul movimento della Neue Sachlichkeit, e che invece sotto la mia penna biro si sta convertendo nella tavola di un fumetto psicotropo a base di paesaggi carsici e guizzanti anatomie leonardesche. Mentre sono assorto nell’esecuzione di uno dei miei chiaroscuri effetto “grafite di china”, un signore di mezz’età dall’aria distinta si ferma a osservarmi in silenzio all’altro capo del tavolo. Alzo la testa e ricambio lo sguardo con fare interrogativo. Lui abbassa di nuovo gli occhi intenti sul foglio e si siede. Nel corridoio lo scalpiccio e le voci ovattate di un gruppo di studenti che scende le scale si rifrange nell’aria. Come esortato dall’improvviso ritorno della realtà mediato dal rumore, l’uomo si protende verso di me e soggiunge “Sai, mi ricordi tanto un mio compagno di banco del liceo”. “Davvero?” “Sì, ho frequentato il liceo artistico a Pescara. Anche il mio compagno maneggiava la penna come te e a lezione faceva i ritratti dei professori ovunque gli capitasse.” “Curioso. Anch’io riempivo i banchi di disegni e i bidelli non sapevano se incazzarsi o fotografarli prima di passare lo strofinaccio. Come si chiamava il vostro compagno? Vive ancora a Pescara?” L’uomo sorride, si alza e getta un’altra occhiata pensierosa al mio foglio irrorato d’inchiostro, poi, quasi in un soffio, risponde: “Si chiamava Andrea Pazienza”.

 P.S. "Lu Pazzaion" era uno dei miei personaggi creati tra il '93 e il '94 sotto l'influsso dei fumetti pazienziani. Essere gretto e impulsivo senza fissa dimora, biascicava un dialetto abruzzese fortemente onomatopeico commettendo atti involontariamente triviali dalle conseguenze catastrofiche.

Friday, May 20, 2016

"New York, a venture" su Indiehometv

A quasi due anni dal termine delle "avventurose" riprese in quel di Manhattan, da oggi è finalmente possibile visionare il mio film "New York, a venture" sottotitolato in Italiano accedendo al sito di Indiehome TV.
https://indiehometv.festhome.com/view_film/49935


Scoprirete così come il protagonista Adam Clairfield sia giunto a comprendere che “la cecità è una liberazione, una solitudine propizia alle invenzioni, una chiave e un’algebra".

"In un minuto di New York / tutto può cambiare / In un minuto di New York / le cose possono diventare piuttosto strane”.



«Il refrain tratto dalla canzone di Don Henley potrebbe essere il perfetto “logline”, ossia il sunto promozionale della trama di “New York, A Venture”, film girato a Manhattan la scorsa estate risalendo le correnti di quel Tempo Interiore che irrora le arterie ortogonali dell’isola insonne più famosa d’America. Un Tempo ondivago e frenetico che avevo cominciato a navigare nell’autunno del 2013 durante il mio primo soggiorno tra l’Hudson e l’East River, fendendo le strade affollate con la mia videoreflex brandita come un sestante col quale decifrare la costellazione emotiva che mi avrebbe indicato la rotta verso la faglia mentale dove la New York di superficie s’incunea nella sua controparte incorporea, sul cui fondo da decenni si ammassa l’humus della Storia e delle visioni che l’hanno alimentata. La New York dove l’architettura neogotica della Trinity Church di Saint Patrick e quella dei grattacieli come il Woolworth Building e il General Electric Building fondono lo slancio del sacro e dell’ambizione secolare nella vertigine dell’assalto al cielo, mentre la rinnovata linea ferroviaria della High Line serpeggia sopra le strade trapassando i palazzi fino al Lower West Side, a sfidare con le sue aiuole pensili l’aridità del cemento e del traffico sottostante, dove uomini in doppiopetto ballano scalzi e i predicatori in giubbotti frusti si fermano ai bordi dei marciapiedi inveendo contro le malefiche lusinghe del capitalismo.


È proprio tra le varie scoperte ed incontri collezionati nelle mie febbrili ricognizioni da Battery Park ad Harlem, dal Theater District a Midtown, confluiti in corso d’opera nel documentario “Bryant’s Ode” sotto forma di un anti-racconto per immagini, musica e versi, che qualche mese dopo avrei compreso come dietro la loro apparenza si annidasse il seme di una vera e propria storia che attendeva solo di trovare i suoi protagonisti per essere narrata sullo sfondo di quegli stessi scenari. Uno dei versi del poema, scritto per fare da contrappunto verbale alla prosa visiva del documentario, commentava infatti la Fontana della Pace realizzata dallo scultore Greg Wyatt per il Childrens Scultpure Garden, un piccolo parco dalle reminiscenze edeniche collocato sul lato sud di Saint John the Divine, la cattedrale gotica più grande del mondo, nel quartiere di Morningside Heights, raggiunto al tramonto dopo aver percorso a piedi tutta l’Ottava strada dal West Village fino a Central Park North.