Tuesday, December 27, 2016

New York, a venture


Articolo pubblicato sul Cinecorriere del 7/1/2015

“NEW YORK, a venture”, il nuovo film di Alessandro Fantini girato a Manhattan


L’artista abruzzese Alessandro Fantini torna a parlarci delle sue avventure cinematografiche vissute nell’isola insonne più celebre d’America, anzi di una “venture” misteriosa che porterà i protagonisti del suo nuovo film a ritrovare i frammenti perduti delle propria infanzia tra le fiamme di una Visione sospesa tra Storia e Immaginazione.


“In un minuto di New York/tutto può cambiare, In un minuto di New York/Le cose possono diventare piuttosto strane”.



Il refrain tratto dalla canzone di Don Henley potrebbe essere il perfetto “logline”, ossia il sunto promozionale della trama di “New York, a venture”, film girato a Manhattan la scorsa estate risalendo le correnti di quel Tempo Interiore che irrora le arterie ortogonali dell’isola insonne più famosa d’America. Un Tempo ondivago e frenetico che avevo cominciato a navigare nell’Autunno del 2013 durante il mio primo soggiorno tra l’Hudson e l’East River, fendendo le strade affollate con la mia videoreflex brandita come un sestante col quale decifrare la costellazione emotiva che mi avrebbe indicato la rotta verso la faglia mentale dove la New York di superficie s’incunea nella sua controparte incorporea, sul cui fondo da decenni si ammassa l’humus della Storia e delle visioni che l’hanno alimentata. La New York dove l’architettura neogotica della Trinity Church di Saint Patrick e quella dei grattacieli come il Woolworth Building e il General Electric Building fondono lo slancio del sacro e dell’ambizione secolare nella vertigine dell’assalto al cielo, mentre la rinnovata linea ferroviaria della High Line serpeggia sopra le strade trapassando i palazzi fino al Lower West Side, a sfidare con le sue aiuole pensili l’aridità del cemento e del traffico sottostante, dove uomini in doppiopetto ballano scalzi e i predicatori in giubbotti frusti si fermano ai bordi dei marciapiedi inveendo contro le malefiche lusinghe del capitalismo.

 È proprio tra le varie scoperte ed incontri collezionati nelle mie febbrili ricognizioni da Battery Park ad Harlem, dal Theatre District a Midtown, confluiti in corso d’opera nel documentario “Bryant’s ode” sottoforma di un anti-racconto per immagini, musica e versi, che qualche mese dopo avrei compreso come dietro la loro apparenza si annidasse il seme di una vera e propria storia che attendeva solo di trovare i suoi protagonisti per essere narrata sullo sfondo di quegli stessi scenari. Uno dei versi del poema, scritto per fare da contrappunto verbale alla prosa visiva del documentario, commentava infatti la Fontana della Pace realizzata dallo scultore Greg Wyatt per il Childrens Scultpure Garden, un piccolo parco dalle reminiscenze edeniche collocato sul lato sud di Saint John the Divine, la  cattedrale gotica più grande del mondo, nel quartiere di Morningside Heights, raggiunto al tramonto dopo aver percorso a piedi tutta l’Ottava strada dal West Village fino a Central Park North. 

 

Quell’impasto di fiabesco e grottesco, solidificato nella spirale cromosomica sovrastata da un sole e una luna sorridenti sotto l’arcangelo vittorioso su un Lucifero ridotto ad una testa spenzolante, divenne subito ai miei occhi la trasposizione simbolica di quell’avvicendamento ciclico tra la componente diabolica ed angelica, dionisiaca ed apollinea, che vivifica l’anima irrazionale di New York. Fermo nel mio proposito di ritrovare tutte le concatenazioni di senso tra il mio viaggio personale e il potenziale cinematico della Fontana, come nel gioco della “Caccia all’Immagine Nascosta”, si trattava adesso di riportare a galla la “fabula” celata sotto quel formicolante composto di simboli, suoni, ombre, odori e stati mentali fomentati dalla loro continua ricombinazione. Le ricerche compiute nei mesi seguenti sulla storia della Cattedrale e la genesi della scultura non fecero che confermare le mie intuizioni. Come se stessi leggendo in una griglia di Cardano applicata sulla pagina di un antico libro cifrato, venni a conoscenza delle processioni degli animali tenute nella cattedrale, delle colonne apocalittiche del Portale del Paradiso, dell’incendio che danneggiò il transetto nord della cattedrale il 18 Dicembre del 2001.  Fu così che, per effetto retroattivo, tutti i tasselli che avevo disposto alla rinfusa davanti a me si ricomposero in una visione cinematografica compiuta, permettendomi di trovare un legame narrativo tra un oggetto innocuo, lo zucchetto bianco con il simbolo del pesce blu, e le fiamme intese come distruzione, purificazione e rigenerazione della vita. Una volta stesa la sceneggiatura, disegnati gli storyboard sulla base dei video e delle foto scattate quell’autunno, composte le prime musiche ispirate alle sonorità gothic-industrial di organi, xilofoni, cimbali, ingranaggi e gong, il casting ha rappresentato l’ultima e più rapida fase, seguendo il rigoroso criterio che tutti gli attori e le comparse fossero newyorkesi o perlomeno residenti a Manhattan.




“Nel vortice del Tempo/Le torsioni del Fato/ Sono spirali giocose di un serpente giallo”. Incluso nel montaggio di “Bryant’s ode”, il verso ricompare in una delle strofe della raccolta “Flames of Vision” recitate da Amy Bolnes, la protagonista del film interpretata dall’americana Kyrie Vickers, fornendo un faro sonoro ad Adam Clairfield, alias Craig Williams, piombato in una cecità improvvisa dopo essere stato colpito accidentalmente alla testa nello Zoo di Central Park. Tuttavia, laddove nel documentario descriveva il raccordo pindarico tra il serpente che si avvolge sulle spalle dei turisti sul ponte di Brooklyn e il piano sequenza circolare intorno alla statua di Fiorello La Guardia, nel film dispiega un più ampio ventaglio di significati, riferendosi in senso figurale sia all’elica del DNA che riassume l’evoluzione della vita sulla terra nella Fontana della Pace, sia a quel rovesciamento che ha sconvolto le vite dei due protagonisti. Quello stesso evento traumatico che più di dieci anni prima li ha allontanati dalla città della loro infanzia, tornerà a farli incontrare attraverso arcani ingranaggi mossi dagli animali rotanti dall’orologio musicale di George Delacorte, dalle immagini sonore stimolate dalle voci dei visitatori del parco, e infine dalla musica d’organo della cattedrale di Saint John. Perché la sinestesia, fenomeno psichico che porta a vedere i suoni e a sentire i colori di cui Adam scopre d’essere affetto fin dall’infanzia, può considerarsi il culmine magico dell’atto artistico. Grazie ad essa un’intera città può essere rivissuta come una sinfonia di colori nella memoria di un fuoco sacro, illuminando l’oscurità del quotidiano dove la gente s’illude di poter seguire la propria strada tenendo gli occhi aperti, ignari che, per usare le parole di Borges ad apertura del film “la cecità è una liberazione, una solitudine propizia alle invenzioni, una chiave e un’algebra”. Una chiave che sarà compito dello spettatore ritrovare al termine del film, dopo aver chiuso gli occhi per riaprire le stanze, buie ma ancora autentiche, dell’infanzia dei propri sensi.


 New York, a venture (2014)


Durata: 38 minuti  - Extended cut: 60 min.


Regia: Alessandro Fantini


Sceneggiatura, fotografia, montaggio, musica ed effetti speciali: Alessandro Fantini


Assistente alle riprese: Lincoln Athas


Amy Bolnes: Kyrie Vickers


Adam Clairfield: Craig Williams


La Signora di Central Park: Karen Goldfarb


Il Lunatico di Central Park: Henrik Kim-Rehr


Il primo runner: Vincenzo Fantasia


Il secondo runner: Said Raissi


Kevin Alcott: Alessandro Fantini


Pagina IMDB: http://www.imdb.com/title/tt4063364


Pagina FB: https://www.facebook.com/newyorkaventure


 


 



Saturday, December 24, 2016

The rest of Euryale


The rest of Euryale
Oil and chalk pastels on canvas, 50x40 cm. (2006)


The rest of Euryale by AFANTINI on DeviantArt

Sunday, December 11, 2016

ENDOMETRIA - Il seme della carne

Oltre ad essere il mese in cui terminai di scriverlo, Dicembre è anche il periodo atmosfericamente più propizio ad una prima incursione (o ad un ritorno, per chi lesse la prima versione presentata al Salone del Libro di Torino) nel regno metamorfico del mio primo romanzo fantasy "Endometria", naturale estensione del racconto "Il Velo della notte" incluso nell'omonima raccolta della collana "Fantagraphia" curata da Anna Maria Fabiano, compagna di viaggio scomparsa due anni fa della quale riporto un estratto dell'acuta e sentita prefazione scritta per la prima edizione:

"Uno strano senso d’inquietudine pervade le pagine di questo straordinario romanzo, che si pone come continuazione del racconto Il velo della notte, contenuto nell’omonima raccolta della collana Fantagraphia. Le chiavi di lettura sono, a mio avviso, infinite, e questo è dovuto sia alla Summa culturale dell’autore, che vive e si nutre d’arte e di letteratura intesa nelle sue varie forme, sia a uno stile che, elegante e oltremodo carico di senso, non rinuncia a creare piccole ma ricorrenti oasi di lirismo nostalgico e paesaggistico, dove si specchiano le illusioni, i sogni, le ossessioni, le attese di ogni anima in crescita. Lo si potrebbe considerare come il passaggio dall'età delle illusioni infantili a quello delle illusioni erotiche ed esistenziali dell'adolescenza, come afferma l’autore. Oppure una sorta di delirio onirico fatto di ossessioni ricorrenti, le proprie ma anche quelle di tutti, perché, coscientemente o meno, siamo tutti dilaniati dai morsi della Conoscenza, della Domanda, della Ricerca, del Viaggio o dell’Eterno Ritorno. Oppure come un ennesimo riscatto compiuto in nome dell’amore, attraverso la sua stessa distruzione. Ossessioni che si fanno sensata insensatezza, dal momento che sottraggono particelle alla propria essenza e le coniugano al riscatto creato da un ordine finale che si pone all’estremo del caos. C’è ancora un’allusione velata e oltremodo inquietante, a mio avviso, legata al Titolo, Endometria, Il seme della carne, che rimanda al rapporto stretto e quasi morboso tra l’uomo e il grembo materno dalla cui profondità proviene e al quale vorrebbe ricongiungersi, profondità colta nell’attimo stesso in cui il protagonista, all’atto di intraprendere il suo viaggio, sprofonda nel sottosuolo".

 
 
 
 
 
"Endometria - Il seme della Carne" viene riproposto dopo cinque anni dalla sua prima edizione in questa seconda versione in formato tascabile e ebook con una nuova veste grafica, una nuova impaginazione delle illustrazioni, una ricca appendice contenente il racconto "Il Velo della Notte", l'antefatto alle vicende narrate nel romanzo, e una raccolta di testi critici scritti dallo stesso autore in occasione delle presentazioni tenute alla Fiera del Libro di Torino.
Dimenticati gli anni di prigionia del Velo della Notte, Edel ed Arnel regnano adesso su una nuova marca, lontano dalle guerre intestine che affliggono Lantaria. Ma alla radice del loro amore pulsa da tempo l'epicentro del caos che sta per abbattersi sull'intero continente. Da dove proviene il seme nascosto nel becco dell’uccello franofelo? Chi sono i seguaci dell'Antico Sussurro? Perché i monaci di Garras hanno abbandonato il loro monastero per riempire di cattedrali la città di Antalide? L'antica stirpe degli Aledani si è davvero estinta insieme al loro oscuro potere? Spetterà ad Arnel vivere nella carne gli uragani della memoria in cui attende di scatenarsi il mistero dei figli di Eulatma.
Alessandro Fantini, già attivo da anni come pittore, regista e compositore, qui alla sua prima prova in qualità di romanziere "parassitario" del genere "fantasy", tiene fede ai postulati irrazionali del suo "agire multimedianico" imbastendo una delirante partitura di archetipi visivi e di ipertrofie linguistiche che contaminano fino a stravolgerle le prevedibili fisiologie della narrazione di genere. Su Endometria la necrosi degli stereotipi, l'osmosi tra materia inerte e materia senziente, la prosa che si trasmuta in poesia, il suono che si rapprende nella visione pura, il caos che cova i germi di un ordine inconoscibile, descrivono solo il primo atto di una parata allucinatoria governata dall'interscambiabilità della vita e della morte. Sin dal turbinoso prologo in cui la marca di Edelia implode in un profluvio di sinestesie geologico-spirituali, appare evidente l'intento di convogliare tra le anse dell'ambientazione fantastica di ascendenza “herbertiano-tolkieniana” le iperboli metaletterarie dei processi alchemici e delle progressioni esoteriche che vedono nella brutale imprevedibilità delle catastrofi l'innesco di un lungo e arcano viaggio verso la riscoperta dell'emotività della materia. Un percorso che non condurrà alla conquista di un Eldorado dell'anima o della Pietra filosofale delle passioni, quanto all'evocazione di uno stadio conoscitivo ultimo che non annovera nelle sue fasi intermedie le asserzioni e i dogmi dei culti rivelati. L'autore dissemina la vicenda ancillare di Edel ed Arnel (ignari dei segreti millenari delle loro dinastie, divisi con violenza da una diversa e, ai loro occhi, inesplicabile costituzione della materia) di una messe di pittogrammi che non svolgono la mera funzione di allegorie personali ma che intendono farsi cellule in divenire di una biologia letteraria dove la funzione comunicativa delle parole collassa sul bianco della pagina per tramutarle nei villi intestinali di un immaginario tanto universale quanto più individuale.
Perché per ciascun lettore, come scrive Fantini nella sua post-fazione, il fenomeno del narrare non può che essere un “esoterico invito al sogno lucido”.