Thursday, September 13, 2018

SULLA SINDROME DEL GENIO RELATIVO


SULLA SINDROME DEL GENIO RELATIVO (e su come guarirne)


Nel corso degli anni la mia attività creativa mi ha permesso d’incontrare personaggi e di vivere situazioni che non avrebbero sfigurato in una stagione di “The Twilight Zone” o, per essere più al passo coi tempi, di “Black Mirror” e “Stranger Things”. Dal viaggio imprevisto compiuto tra filoni di pane sul furgoncino diretto al castello di Pubol in Catalogna, alla visione del bambino in calzoncini corti e zaino in spalla che a Tokyo attraversava la strada sotto la neve del primo mattino. Dal critico d’arte che tra sacchi di gesso nel cortile di Palazzo Barberini mi parlava con l’accento greve di un Mario Brega consigliandomi di rinunciare all’arte per votarmi alle gioie della carne, al tipo che a Firenze ripeteva come la musica elettronica fosse tutta una fuffa commerciale, alla ragazza che sul volo Londra-Roma voleva convincermi che dopo i trent’anni il celibato fosse dannoso per la salute di un artista (ribadendolo nei giorni successivi con sms a raffica), al “promotore culturale” che  mi chiedeva sbraitando di non danneggiargli il basso ventre con la richiesta di collaudare lo schermo sul quale avrei dovuto proiettare i miei corti.

Ma ad affascinarmi per le sue implicazioni etologiche è sempre stato il comportamento di quelle persone che, venute a contatto in periodi diversi e per ragioni diverse con la mia arte, sembravano subire una sorta d’invasamento mistico. Alcuni di loro erano capaci di telefonarmi ogni giorno intercalando le frasi con esclamazioni come “Sei il numero uno! Sei un genio! Sei un fenomeno!”, si offrivano di diffondere la mia arte ai quattro angoli del pianeta (senza spiegare in che modo) o vaticinavano imminenti trionfi e successi.  Di norma a questa fase di “vasodilatazione” (che poteva protrarsi anche per mesi) faceva seguito una di circospetta “circonvenzione”: il soggetto cominciava a calibrare le sue azioni e le sue parole in funzione di un obiettivo che non riguardava più solo il sottoscritto. Gradualmente la genialità che mi veniva da loro attribuita andava mitigandosi, defluendo nelle loro nuove, nascenti aspirazioni artistiche o scivolando sotto il tappeto di un disamoramento più o meno ostentato. E questo mentre continuavo con gli stessi ritmi e la stessa dedizione a produrre opere su opere. Nella sua fase finale il soggetto tornava nell’oblio totale dal quale era emerso come una specie di araldo andato in pensione. Puntualmente alcuni (non tutti) di questi soggetti vanno incontro a ricadute quando il mio nome fa capolino su una pagina di giornale, su uno schermo televisivo o su un sito. Sono presi dalla smania di tessere panegirici e biografie delle quali a volte vorrebbero i diritti d’autore, convinti che in tutto quel tempo in cui sono rimasti in silenzio la loro influenza abbia continuato ad agire per vie telepatiche.

La psicopatologia del “genio relativo” non è tuttavia una sindrome nuova o particolarmente perniciosa per chi la subisce ma nel tempo, soprattutto con l’avvento del web, ha assunto le forme virali più insospettabili e fantasiose.

Ma per chi ne è affetto senza saperlo o sta cercando il modo di guarire, è possibile applicare questa semplice terapia: guardarsi ogni giorno allo specchio e studiare le forme più o meno curvilinee assunte dal proprio volto.

 P.S. A scanso di equivoci, mi preme precisare che non ho nulla contro chi esprime apprezzamenti "iperbolici" a voce o per iscritto. Nel testo mi riferisco esclusivamente ad una tipologia con specifici tratti caratteriali osservati nel lungo termine.

 

 

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